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  • Immagine del redattore: Boèmia
    Boèmia
  • 9 ott 2018
  • Tempo di lettura: 5 min

Non è il genere di erotismo affine alle mie corde, solitamente scrivo altro ma... amo le sfide!




È iniziato come uno scherzo, il solito spam che intasa la casella di posta elettronica un giorno sì e l’altro pure. Sembrava la pubblicità di un nuovo locale, ma quando ho aperto l’email ho capito che in realtà era un invito per l’inaugurazione della stagione invernale dello Shibari Club, il ritrovo sadomaso più esclusivo della città. Non riuscivo a capire come fossi finita sulla loro mailing list, ma avevo il sospetto che dietro quello scherzo ci fosse D., il mio ex. Da quando ci siamo lasciati si comportava come un bambino dispettoso, e probabilmente quell’ invito era la sua maniera contorta per dirmi che a letto non ero poi un granché, che avevo poca fantasia, insomma. Credo sia stato questo a farmi arrabbiare, e a pensare di vendicarmi. Il passo successivo, perciò, è stato rispondere all’ invito. Il party cominciava alle otto di stasera. Sarei intervenuta all’ inaugurazione? Sì. Avrei preso parte a una sessione sadomaso? Non lo sapevo ancora. Quel mondo in parte mi affascinava, in parte mi faceva paura. Però devo ammettere che ero anche parecchio curiosa, così presi nota dell’indirizzo e provai un vestito adatto per l’occasione, corto e scollato, al quale avrei abbinato un paio di décolleté dal tacco vertiginoso. Poi scesi in strada e chiamai un taxi. Non so dire quale fosse il motivo, ma mi sentivo così euforica che quando finalmente arrivai al Club per poco non scavalcavo il buttafuori. «Un momento, signorina» disse l’uomo. «Posso vedere l’invito?» Come da istruzioni gli mostrai una copia dell’email che avevo ricevuto. «È la sua prima volta qui da noi?» «Sì.» «Allora chieda al barman di Lady R. Lei è la proprietaria, le spiegherà quali sono i piaceri e le regole.» L’uomo mi aprì la porta, e finalmente riuscii a varcare l’ingresso del locale.

Il club era arredato in perfetto stile orientale, con quadri, vasi e antichità provenienti dal Giappone. Lo Shibari, infatti, è una disciplina giapponese che consiste nel legare una persona in un contesto erotico, ma era anche l’attività prediletta dai membri del club. Io però non avevo una predilezione per il bondage, anzi l’idea di venire immobilizzata da un perfetto sconosciuto mi trasmetteva inquietudine invece di eccitazione, perciò decisi di fare come aveva detto il buttafuori, cioè di rivolgermi direttamente alla proprietaria e chiederle come funzionava lì dentro.

«È molto semplice» mi spiegò la Lady, una splendida asiatica che indossava il kimono tradizionale da geisha. «Oltre il bar c’è un corridoio che conduce in altre stanze, ognuna dedicata a una disciplina diversa. Troverà il bondage e lo shibari naturalmente, ma anche l’animal play, il pissing, il trampling, lo spanking, e ogni tipo di piacere erotico causato da dolore fisico. Si ritenga libera di scegliere ciò che preferisce.»

Lady R. si congedò, lasciandomi frastornata. Facevo fatica a comprendere come il dolore fisico potesse dare un piacere erotico, tuttavia ero decisa ad andare fino in fondo, anche solo per fare un dispetto al mio ex, così mi diressi verso il corridoio, cercando una disciplina che fosse meno estrema delle altre. Evitai corde, manette, e collari, e passai oltre le sale dedicate alla tortura erotica, soft o hard. Ero quasi arrivata in fondo al corridoio quando mi accorsi che la stanza dello spanking aveva la porta aperta.

Perché no?” pensai. “In fondo che male può farmi una sculacciata?”. Così entrai, e vidi un uomo seduto in una vecchia poltrona di cuoio. La sua figura era imponente, e a dispetto della posa rilassata l’uomo incuteva un po’ di timore.

«Vieni avanti, sei la benvenuta» disse. Aveva il fisico di un pugile, ma possedeva una certa raffinatezza nei modi. La sua voce era calda, il tono gentile e pacato. Feci un passo in avanti, ma in quel momento un grosso gatto saltò sulle sue ginocchia e mi fissò. L’animale aveva gli occhi di un verde brillante, quasi identico al colore degli occhi del suo padrone. L’uomo gli fece una carezza e il gatto iniziò a fare le fusa. Non potevo dargli torto. Le sue dita si muovevano con sensuale destrezza, e per un istante desiderai follemente trovarmi al posto di quel gatto.

«Sei bellissima» proseguì l’uomo. «Anche i re sarebbero felici di adorarti, ma tu oggi ti inchinerai a me… A me soltanto.» Mi prese la mano e mi tirò a se. Le sue mani raffinate seppur piene di tatuaggi ricordavano quelle di un chirurgo , agili e potenti. Ma tutto di lui trasudava potere. La sua virilità era quasi palpabile, e ogni gesto denotava una forte attitudine al comando. Avevo sbagliato a paragonarlo a un pugile: quell’uomo era più simile a un gladiatore.


«Sei venuta qui perché hai bisogno di me, e io ti darò ciò che vuoi veramente.»

«Nemmeno io so cosa voglio…» obiettai intimorita.

«Stai mentendo.» Quel tono non ammetteva repliche. L’uomo mandò via il gatto e mi tese la mano. Io l’ho afferrata e lui mi ha trascinato sulle sue ginocchia con tanta violenza che sono stata costretta ad aggrapparmi al bracciolo della poltrona per non cadere.

«Rilassati, andrà tutto bene» disse l’uomo. Mentre giacevo a pancia in giù ho sentito che mi sollevava il vestito, e faceva scivolare giù le mutandine.

«Mi piace il suono della pelle nuda sotto le mani» mi spiegò. Io non capivo cosa intendeva dire, ma quando arrivò il primo colpo, un rumore secco echeggiò in tutta la stanza, come se l’uomo avesse fatto schioccare un frusta a mezz’aria. Ho gridato, più di sorpresa che di dolore, perché il dolore, quello vero, doveva ancora arrivare.

«Sei pronta? Ora facciamo sul serio» avvisò. E un attimo dopo la sua mano grande calò sulle mie natiche. Una volta, due volte, tre volte. L’uomo mi colpiva, ancora e ancora, con ritmo costante, saltando da una natica all’altra. Il mio sedere stava andando a fuoco. La pelle mi bruciava, e tutto il mio corpo adesso era percorso dai brividi. I miei occhi erano pieni di lacrime, ma erano lacrime di gioia, non di dolore. I suoi schiaffi pungenti mi avevano mostrato un nuovo modo di essere, e da sottomessa mi sentivo finalmente libera, felice, accettata.

«Ancora, ti prego…» ho ansimato.

«Non ho nessuna intenzione di fermarmi, voglio solo rallentare un po’, per la tua sicurezza…» Lentamente, i colpi si fecero meno intensi. La mano dell’uomo scivolò sotto le natiche, e sentii una lieve pressione sul clitoride che mi mandò in estasi. Le gambe iniziarono a tremarmi e l’orgasmo mi raggiunse senza che lui mi facesse altro.

«Molto bene, ora puoi andare» disse, mentre il mio miele gli colava tra le dita.

Allora mi alzai in piedi e lo guardai con ammirazione. Quell’uomo era un maestro, aveva il potere di sedurmi e di farmi godere con un solo tocco. Sarei tornata da lui molto presto.

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